Un nuovo modello del MIT suggerisce che gli astrociti, finora considerati cellule di supporto, potrebbero essere fondamentali nella memorizzazione, superando i neuroni in termini di capacità ed efficienza. A volte, i protagonisti delle storie più sorprendenti non sono quelli che ci aspettiamo. Da decenni la neuroscienza si concentra quasi esclusivamente sui neuroni: le stelle del sistema nervoso, responsabili dell’invio e della ricezione dei segnali, della costruzione dei pensieri e della formazione dei ricordi. Ma nel fondo del palcoscenico cerebrale ci sono altre cellule, molto più numerose e finora molto meno comprese. E se la nostra capacità di memoria non dipendesse solo dai neuroni, ma anche da alcuni compagni invisibili? Spiegherebbe come si formano i ricordi fin dall’infanzia, una vera e propria rivoluzione. I ricercatori del MIT e dell’IBM hanno proposto un’idea provocatoria: gli astrociti —un tipo di cellula gliale tradizionalmente considerata di supporto— potrebbero essere elementi fondamentali nella memorizzazione dei ricordi. Non si tratta di un’intuizione campata in aria: si tratta di un modello matematico e biologico complesso che punta a un cambiamento radicale nel modo in cui comprendiamo la mente.
Astrociti: i grandi ignorati del cervello
Gli astrociti non sono una rarità nel cervello, ma il tipo di cellula più abbondante. Sebbene la loro funzione classica sia stata quella di mantenere l’equilibrio chimico, pulire i residui e aiutare i neuroni con nutrienti e ossigeno, nuove ricerche hanno dimostrato che fanno molto di più. Gli astrociti hanno prolungamenti che possono avvolgere le sinapsi, i punti di connessione tra i neuroni, e formare strutture chiamate sinapsi tripartite.
Un singolo astrocito può entrare in contatto con oltre un milione di sinapsi, creando un’enorme rete di interazioni che prima non si riteneva funzionale. Per molto tempo si è pensato che gli astrociti si limitassero ad “ascoltare” passivamente. Tuttavia, studi recenti hanno rivelato che sono in grado di rilevare l’attività neuronale e di rispondere rilasciando gliotrasmettitori, molecole che influenzano direttamente il segnale trasmesso tra i neuroni.
Un’ipotesi dirompente: memorie oltre i neuroni
Il nuovo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, propone un modello computazionale basato su queste funzioni degli astrociti. Secondo gli autori, la capacità di immagazzinare ricordi potrebbe risiedere in parte nella rete dei processi astrogliali, e non solo nelle sinapsi neuronali come si credeva finora.
La proposta degli autori è che gli astrociti effettuino calcoli e che tali calcoli siano modellati da vie di segnalazione interne modificabili. Questa affermazione non è una speculazione senza fondamento: è supportata da un modello matematico di memoria associativa ispirato alle reti neurali artificiali. Si tratta di un’estensione delle reti di Hopfield, che sono state fondamentali nella neuroscienza teorica e nello sviluppo dell’intelligenza artificiale.
La novità sta nel fatto che questo nuovo modello integra gli astrociti come unità computazionali in grado di aumentare drasticamente la capacità di archiviazione della rete. Ciò è possibile grazie alla loro capacità di trasmettere calcio internamente e di comunicare con molte sinapsi contemporaneamente.
Dalle reti artificiali al cervello umano
Il modello sviluppato appartiene a una classe chiamata “memorie associative dense” (Dense Associative Memories). Queste reti superano i limiti delle reti di Hopfield tradizionali, che consentono di memorizzare solo un numero relativamente basso di modelli. Con l’aggiunta degli astrociti come nodi interconnessi, invece, il modello del MIT dimostra una crescita scalabile della capacità di memoria: più astrociti, più ricordi possibili.
“Il nostro lavoro dimostra che le reti neurone-astrocito seguono una legge di scalabilità della memoria superiore”, affermano nell’articolo. Ciò significa che ogni nuova unità non solo aggiunge informazioni, ma moltiplica la capacità di archiviazione. I ricercatori affermano che questo miglioramento deriva dall’archiviazione dei ricordi nella rete interna dei processi degli astrociti, e non solo nelle connessioni sinaptiche.
In altre parole, ciò che gli astrociti apportano non è solo volume, ma una struttura in grado di ospitare e recuperare modelli di attività cerebrale con maggiore efficienza. Questa scoperta non contraddice la teoria dell’engramma, secondo cui i ricordi risiedono in insiemi specifici di neuroni attivati durante l’apprendimento, ma la integra.
Come si inseriscono gli astrociti nel funzionamento del cervello?
Il cuore di questa proposta risiede in un concetto matematico: la funzione energetica. In questo tipo di modelli, ogni ricordo è associato a un “minimo” di energia in uno spazio astratto. Quando attiviamo una parte di quel ricordo, l’attività cerebrale tende naturalmente a completare il modello e a riportarci al ricordo completo. È un modo per spiegare fenomeni come il riconoscimento o l’evocazione spontanea.
L’aspetto affascinante del nuovo modello è che introduce interazioni tra quattro elementi attraverso una rete di processi astrogliali, consentendo una codifica molto più complessa ed efficiente. La presenza del tensore T, una struttura matematica che rappresenta queste connessioni, è fondamentale per comprendere come gli astrociti potrebbero facilitare le interazioni tra sinapsi distanti e contribuire così a reti di memoria più potenti.
Inoltre, gli autori spiegano che, nelle simulazioni, questo sistema è in grado di correggere errori e persino di completare immagini o suoni parzialmente distorti. In altre parole, non solo immagazzina di più, ma lo fa anche in modo più robusto e flessibile.
Implicazioni per le neuroscienze e l’intelligenza artificiale
Questo modello rappresenta una sfida diretta a uno dei presupposti fondamentali delle neuroscienze: che la sinapsi tra i neuroni sia l’unico substrato della memoria. Se si confermasse che anche gli astrociti immagazzinano informazioni, sarebbe necessario riscrivere gran parte dei manuali di neurobiologia.
Inoltre, le connessioni tra questo modello e i sistemi di IA più avanzati sono sorprendenti. Il team suggerisce che la sua architettura può interpolare tra memorie associative dense e meccanismi di attenzione come quelli utilizzati nei trasformatori, le reti che alimentano modelli come ChatGPT.
Questo apre una possibilità inaspettata: che una migliore comprensione del ruolo degli astrociti nel cervello ci aiuti a costruire algoritmi di intelligenza artificiale migliori. E, viceversa, che modelli informatici ispirati alla biologia possano aiutarci a svelare i segreti che la nostra mente ancora nasconde.
Come verificare questa teoria?
Il passo successivo, secondo gli autori, è sperimentale. Per testare la validità del modello, bisognerebbe manipolare le connessioni interne dei processi astrogliali e vedere come questo influisce sulla memoria. Sebbene tecnicamente difficile, non è impossibile con gli attuali strumenti di neurobiologia molecolare.
Propongono anche di adattare il modello a dati fisiologici reali, come limitare le connessioni solo a processi astrogliali vicini tra loro. Ciò consentirebbe di avvicinare la simulazione al comportamento cerebrale osservato e di confermare se gli astrociti partecipano attivamente alla formazione dei ricordi.
“Il nostro modello prevede che ostacolare la diffusione del calcio attraverso gli astrociti renderebbe significativamente più difficile il recupero dei ricordi”, spiegano gli autori. Se futuri esperimenti confermassero questa ipotesi, assisteremmo a una rivoluzione nella comprensione del cervello.